Robert Kennedy Jr.: una campagna per ribaltare la politica di guerra dell’America

La campagna di Robert F. Kennedy, Jr. come candidato democratico alla presidenza ha il potenziale per trasformare il panorama politico degli Stati Uniti. Ciò è risultato evidente nel primo importante discorso di politica estera del candidato, pronunciato il 20 giugno davanti ad un folto pubblico, al Saint Anselm College di Goffstown, nel New Hampshire, in cui ha demolito le narrazioni dei famigerati “poteri forti”. Kennedy ha più volte fatto riferimento allo storico discorso sulla pace pronunciato sessant’anni fa da suo zio, il presidente John F. Kennedy (vedi SAS 24/23).

I media tradizionali hanno in gran parte ignorato questo ed altri interventi di RFK Jr. limitandosi alle sue posizioni più controverse o a vere e proprie calunnie. Ciononostante, i sondaggi gli attribuiscono già un 20% dei voti, il che è notevole, e sta seminando lo scompiglio nel Partito Democratico, i cui notabili sanno quanto Joe Biden e le sue politiche siano impopolari. Di seguito riportiamo alcuni stralci del discorso di Kennedy.

“Le amministrazioni democratiche e repubblicane hanno spinto la NATO verso i confini della Russia, violando la nostra stessa solenne promessa… che non l’avremmo spinta di un solo centimetro verso est. James Baker, i funzionari del governo britannico e molti altri diedero quest’assicurazione. Eppure, oggi abbiamo circondato la Russia. Non l’abbiamo spinta di un centimetro, ma di migliaia di chilometri e di 14 nazioni verso est. Abbiamo circondato la Russia con missili e basi militari, cosa che non tollereremmo mai se i russi facessero lo stesso con noi. Le dichiarazioni dei nostri funzionari governativi e dei think tank illustrano gli obiettivi della guerra in Ucraina: un cambio di regime in Russia, il rovesciamento di Vladimir Putin. Questo è ciò che il Presidente Biden ha definito il nostro scopo in Ucraina: rendere inutilizzabili ed esaurire le forze armate di Mosca e smembrare la Federazione Russa.

“Nessuno di questi obiettivi ha a che fare con l’aiuto all’Ucraina, che, ovviamente, era il pretesto per il nostro coinvolgimento nella guerra. Siamo immersi in un discorso di politica estera che è tutto incentrato su avversari, minacce, alleati, nemici e dominio. Siamo diventati dipendenti da narrazioni fumettistiche del bene contro il male che cancellano la complessità e ci rendono ciechi di fronte alle motivazioni legittime, alle preoccupazioni culturali ed economiche e alle legittime preoccupazioni di sicurezza di altri popoli e nazioni. Abbiamo interiorizzato e istituzionalizzato il riflesso della violenza come risposta a tutte le crisi. Tutto diventa una guerra: la guerra alla droga, la guerra al terrorismo, la guerra al cancro, la guerra al cambiamento climatico. Questo modo di pensare ci predispone a intraprendere guerre senza fine all’estero – guerre e colpi di stato, bombe e droni, operazioni di cambio di regime e sostegno a paramilitari, giunte e dittatori. Niente di tutto questo ci ha reso più sicuri, e niente di tutto questo ha dato lustro alla nostra leadership o alla nostra autorità morale. Ma soprattutto dobbiamo chiederci: siamo davvero ciò? È questo ciò che vogliamo essere? È questo ciò che i fondatori dell’America avevano concepito?

“C’è da meravigliarsi se, mentre l’America ha scatenato la violenza in tutto il mondo, la violenza ci ha sopraffatto nella nostra stessa nazione? Non è arrivata come un’invasione, ma dall’interno. Le nostre bombe, i nostri droni, i nostri eserciti non sono in grado di fermare la violenza delle armi da fuoco nelle nostre strade e scuole o la violenza domestica nelle nostre case…. La violenza all’estero è inseparabile dalla violenza domestica. Entrambe sono aspetti di un orientamento di base, di un ordine di priorità.

“Combattendo guerre permanenti all’estero, abbiamo trascurato le fondamenta del nostro stesso benessere. Abbiamo un’infrastruttura economica in decadenza, un popolo demoralizzato, un popolo disperato. Abbiamo tossine nell’aria, nel suolo e nell’acqua. Abbiamo un deterioramento della salute mentale e fisica. Questi sono i costi della guerra. Quale sarà il compenso della pace? Sarà la guarigione di tutti i sintomi del declino dell’America. Nessuno di questi è al di là della nostra capacità di guarigione. Possiamo riportare l’America all’impressionante vitalità dell’era originale dei Kennedy.”

In chiusura, RFK Jr. ha esortato l’amministrazione Biden ad evitare la “retorica ostile” e ad iniziare immediatamente una fase di distensione. E, cosa ancora più importante, ha detto: “Invito ogni americano a unirsi a un nuovo movimento per la pace, a far sentire la propria voce, a rifiutare la follia dell’escalation e a celebrare non più il ‘presidente in tempo di guerra’, ma un presidente che mantenga la pace”.

Print Friendly, PDF & Email