Torna il Patto di Instabilità

Il 29 aprile, una settimana dopo essere stata approvata dal Parlamento europeo, la nuova versione del cosiddetto “Patto di stabilità” è stata approvata dal Consiglio europeo dei capi di governo. Così, dopo quattro anni di sospensione decisa all’inizio della pandemia di covid, l’austerità fiscale torna a governare le economie dell’UE, almeno formalmente. Le nuove regole sono ufficialmente più “morbide” perché consentono eccezioni al pareggio di bilancio, ma tali eccezioni si pagano a caro prezzo in termini di perdita di sovranità. Il Patto riformato obbliga i Paesi ad alto debito ad attuare un piano quadriennale (che può essere esteso a sette anni in casi particolari) per ridurre il deficit all’1,5% del PIL. Per i Paesi con un debito superiore al 90% del PIL (come l’Italia, ma anche la Francia e una decina di altri), è obbligatorio un taglio annuale della spesa pari all’1% del PIL.

In realtà, sarebbe meglio chiamarlo “Patto di instabilità”, perché è quello che produrrà attuando i brutali tagli al bilancio e gli aumenti delle tasse necessari per raggiungere gli obiettivi. È più probabile che non ci riesca, ma non prima di aver causato gravi danni.

Oltre alla prevista austerità socialmente insostenibile, la reintroduzione dei vincoli fiscali si accompagna all’aumento delle spese per la difesa e per la transizione energetica, rendendone l’attuazione quasi impossibile – se non a costo di sacrifici sociali insopportabili.

Il ritorno dell’austerità nell’UE è apparentemente contraddetto dalla strategia, apparentemente seguita dal francese Emmanuel Macron e da altri leader dell’UE, di far diventare l’ex presidente della BCE Mario Draghi il successore di Ursula von der Leyen. In occasione della Conferenza di alto livello tenutasi a La Hulpe, in Belgio, il 16 aprile, Draghi ha tenuto un discorso definito dai media la sua “piattaforma elettorale”, in cui ha chiesto un “cambiamento radicale” nelle politiche dell’UE e ha criticato le politiche “pro-cicliche” attuate in passato.

La contraddizione, tuttavia, è solo apparente. Offrendo un’anticipazione del rapporto sulla competitività che presenterà a giugno, dopo le elezioni europee, Draghi ha indicato tre settori in cui promuovere la crescita: difesa, digitale e investimenti climatici. Come finanziarli? “Il settore pubblico ha un ruolo importante da svolgere e (…) possiamo utilizzare meglio la capacità di prestito comune dell’UE, soprattutto in settori – come la difesa – in cui la spesa frammentata riduce la nostra efficacia complessiva.”

In altre parole, mentre ai governi è vietato indebitarsi, all’UE dovrebbe essere consentito farlo. Il riferimento di Draghi è a un debito comune europeo piazzato sui mercati finanziari, come il “Recovery Fund” lanciato all’indomani della pandemia di covid. “La maggior parte del gap di investimenti dovrà essere coperto da investimenti privati”, ha detto Draghi, come ad esempio dai risparmi privati convogliati nell’Unione dei mercati dei capitali.

La riforma del mercato dei capitali è il tema di un altro rapporto, quello affidato a Enrico Letta, il quale propone di creare entro il 2026 un “safe asset”, un prodotto di risparmio unificato centralizzando tutte le emissioni di obbligazioni EU per convogliare i risparmi dei comuni cittadini nel finanziamento della cosiddetta transizione verde e del riarmo. Chissà che Draghi e Letta, nel loro piano di razionalizzazione delle risorse finanziarie disponibili, non abbiano come modello Hjalmar Schacht, il banchiere centrale e ministro del Tesoro di Hitler.

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