I media atlantisti vorrebbero l’Italia fuori dalla Via della Seta

All’indomani dell’incontro tra Meloni e il collega cinese Li, ai margini del G20 in India, tutti i grandi media internazionali hanno rilanciato un articolo del Corriere della Sera che così titolava: “Meloni vede il premier cinese. E c’è l’addio alla Via della Seta”. L’articolo sosteneva che la Presidente del consiglio italiano aveva comunicato a Li l’intenzione di uscire dall’intesa firmata nel 2019, e che Li aveva fatto un ultimo tentativo di persuadere gli italiani a ripensarci.

La narrazione che accompagnava tutti i resoconti era che la decisione italiana era dovuta a pressioni americane o, in seconda battuta, dei partner europei.

Fermo restando che durante la sua recente visita a Washington Meloni dichiarò che la Via della Seta (la Belt and Road Initiative) non era in agenda e il tema non era stato sollevato nell’incontro con Biden, è vero che su di esso si svolge da tempo una massiccia campagna di pressioni, soprattutto da parte dei media filoatlantici. È vero anche che a Bruxelles l’adesione dell’Italia alla BRI è considerata uno “sgarro” dalla linea della Commissione EU, la cui propaganda descrive la Via della Seta come un “disegno egemonico” di Pechino.

Detto ciò, come ha commentato l’autore dell’accordo Italia-Cina sulla BRI, l’ex sottosegretario allo Sviluppo Economico Michele Geraci, “Ovviamente si tratta soltanto di un titolo del giornale che, come sa chi li legge, non sono le tavole di Mosé.”

Più verosimilmente, è avvenuto che la Meloni “ha sondato la possibile risposta dei cinesi a una possibile uscita dalla via della seta” e, “come giusto, si informa e accumula dati da valutare in seguito. Bene. Il PM cinese risponde che non sarebbe una buona idea sostituire la via della seta con un mezzo accordo di cooperazione che è rimasto nel cassetto da 20 anni”, ha scritto Geraci su Twitter-X.

Tuttavia, se la Meloni avesse già deciso, “sarebbe una decisione disastrosa per la nostra economia, distruggendo 2000 anni di rapporti commerciali tra i due popoli iniziati proprio al tempo dei romani lungo l’antica via della seta. L’accordo del 2019 prevedeva, inter alia, l’aumento dei flussi commerciali in entrambe le direzioni e questo risultato c’è stato: sia il nostro export verso la Cina che l’export della Cina verso l’Italia sono aumentati. Quindi obbiettivo raggiunto.

“Alcuni nostri ministri (Crosetto, Tajani e Urso), mal consigliati da non i massimi esperti di economia e commercio estero (nonostante due dei tre ministri, Tajani e Urso, sono responsabili del nostro export, che è pari a un terzo del nostro Pil), hanno manifestato dissenso al rinnovo del Memorandum perché l’export della Cina verso di noi è aumentato più del nostro export verso loro, e quindi il deficit commerciale è aumentato.

“Questo tipo di critiche alla via della seta sarebbe facilmente risolto se tre ministri aprissero un libro di economia, il primo capitolo. Forse addirittura nel sommario. O potrei farlo spiegare ai miei studenti diciottenni. La gravità della situazione, al di là del mio sarcasmo, è proprio il fatto che un terzo del nostro Pil, circa 600 miliardi di export tra beni servizi, è gestito in maniera amatoriale come non si gestirebbe un condominio. Con ministri che fanno dichiarazioni avventate, scellerate in alcuni casi, offendendo i nostri partner commerciali, e con le loro errate dichiarazioni fanno emergere la loro ignoranza sui temi di economia agli occhi dei nostri partner internazionale, danneggiando gravemente l’immagine del nostro paese”.

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