Gli esperti sfatano la fantasia che “l’Ucraina sta vincendo”

Il generale Mark Milley, capo degli Stati Maggiori Riuniti degli Stati Uniti, i cui commenti del 9 novembre – secondo i quali potrebbe esserci uno spiraglio per i colloqui di pace in Ucraina – hanno provocato aspre denunce da parte dello schieramento guerrafondaio, ha modificato le proprie osservazioni una settimana dopo, per adeguarsi al coro dei suoi detrattori. Ha detto infatti che le forze armate russe starebbero “soffrendo molto”, mentre l’Ucraina avrebbe ottenuto “un successo dopo l’altro”. Questa dimostrazione di debolezza russa e di forza ucraina aprirebbe la porta ad una “soluzione politica”, che comprenderebbe la fine della guerra con il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina. Questa parziale retromarcia di Milley è conforme alla linea della NATO, secondo cui l’Ucraina starebbe vincendo la guerra.

Mentre si parlava di aumentare il totale degli aiuti all’Ucraina da parte del Regno Unito a circa 4 miliardi di sterline, Biden stava preparando un pacchetto di quasi 40 miliardi di dollari in più di aiuti militari da parte degli Stati Uniti. Ad una domanda al riguardo, la leader dello Schiller Institute Helga Zepp-LaRouche ha risposto che questo dimostra che i falchi credono “che più armi all’Ucraina porteranno alla pace, ma è il contrario”. Ha sottolineato la devastazione delle infrastrutture ucraine da parte degli attacchi missilistici russi, che ha reso la situazione in Ucraina “piuttosto disperata”.

La valutazione di Zepp-LaRouche concorda con quella di veri esperti militari statunitensi, in contrasto con le asserzioni dei funzionari militari e dei servizi segreti legati al “Complesso militare-industriale”, per i quali la guerra è un affare economico, e di coloro che parlano a nome dell’establishment politico e finanziario al collasso, che desiderano indebolire in modo significativo la Russia, temendone la leadership sulle nazioni che cercano una nuova architettura strategica e finanziaria, al di fuori del controllo della “Superpotenza unica”.

Uno di questi esperti è il colonnello in pensione Douglas MacGregor, che indica nell’infrastruttura energetica gravemente danneggiata dell’Ucraina, colpita da raffiche di missili russi, uno degli obiettivi dell’operazione russa. I russi intendono minare la capacità dell’Ucraina di fare la guerra, ha detto. Gli attacchi alla rete elettrica ucraina, agli snodi ferroviari, ai depositi di carburante, ai ponti e ai centri di comando e controllo stanno realizzando questo obiettivo. Il dispiegamento di forze fresche da parte della Russia permetterà loro di tagliare le linee di rifornimento dalla Polonia, lasciando le truppe ucraine isolate e vulnerabili, esponendole alla cattura o all’eliminazione.

Il colonnello in pensione Daniel L. Davis, senior fellow di Defense Priorities, ha offerto una valutazione simile a quella di MacGregor. Egli ha infatti parlato dell’intenzione russa di chiudere i due corridoi di rifornimento per le truppe ucraine, dalla Polonia a ovest e da Kiev.  Con questi corridoi chiusi, “sarebbe quasi impossibile per Kiev sostenere operazioni belliche per più di qualche settimana”. Il colonnello Davis ha anche affermato di ritenere che il dispiegamento di altre 218.000 truppe russe sarebbe in grado di raggiungere questo obiettivo.

L’ex ispettore delle Nazioni Unite per gli armamenti Scott Ritter ha respinto l’idea che la Russia voglia negoziare per debolezza, affermando che ciò è completamente falso e che la Russia è sempre stata disposta a negoziare, fin dall’inizio. A causa del fatto che il Presidente Zelensky, sotto pressione della NATO, si rifiuta di negoziare, Ritter ha insistito sul fatto che la Russia è pronta a schiacciare l’Ucraina.

Se questi tre esperti hanno ragione, come risponderà la NATO? Dato che i rapporti degli ultimi giorni indicano una mancanza di munizioni e di capacità di produzione militare da parte dei paesi membri della NATO, non esiste altra opzione praticabile – a meno di non volere un coinvolgimento su larga scala delle forze della NATO – se non quella di negoziare con la Russia, cosa che la NATO è rimasta riluttante a fare fin dal colpo di stato di Maidan del febbraio 2014.

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