Le grandi banche nella tempesta perfetta

l’Institute of International Finance (IIF) ha lanciato l’allarme sugli effetti dell’aumento dei tassi di interesse sul debito complessivo, con particolare attenzione al debito pubblico. Un nuovo studio informa che il debito globale ha raggiunto la cifra record di 307 mila miliardi di dollari. Tuttavia, dal computo sono esclusi i derivati finanziari, che si calcola ammontino a quasi due milioni di miliardi.

Essendo l’IIF la lobby della cosiddetta “industria finanziaria”, ovviamente non tiene sufficientemente conto dell’elefante nella stanza, cioè degli effetti dell’aumento dei tassi sul settore privato. Si può avere un’idea dello stato fallimentare del sistema finanziario osservando l’ammontare delle perdite non realizzate delle banche, cioè la perdita di valore degli attivi. Gli economisti Pam e Russ Martens, che gestiscono il sito Wall Street on Parade, l’hanno calcolata in oltre cinquecento miliardi di dollari nel solo secondo trimestre 2023 per le mega banche statunitensi (questa bomba a orologeria era probabilmente nella testa di Jamie Dimon, CEO di JP Morgan Chase, che ha dichiarato al Times of India che le banche non possono sostenere un tasso di interesse del 7%).

L’aumento dei tassi della banca centrale innesca una spirale discendente nel deprezzamento delle obbligazioni correnti (se utilizzate come garanzia, ad esempio), oltre ad aumentare il debito pubblico. Quest’ultimo aumenta l’offerta di obbligazioni per finanziare l’aumento del debito, spingendo così i rendimenti obbligazionari verso l’alto, deprezzando ulteriormente le obbligazioni correnti, ecc.

Le banche hanno nascosto le perdite spostando quantità massicce di tali attivi, dalla sezione “mark to market” del loro bilancio, alla sezione “held to maturity”. Questa pratica equivale ad un imbroglio. Gli investitori devono attendere il rapporto trimestrale della FDIC, l’ente regolatore, con il valore di mercato di tali attività, per avere una valutazione equa dei loro investimenti.

“La più grande banca degli Stati Uniti, la JPMorgan Chase, ha trasferito enormi quantità di titoli nella categoria HTM (held-to-maturity). Secondo il rendiconto finanziario di JPMorgan Chase per il periodo terminato il 31 dicembre 2022, la banca deteneva 425,3 miliardi di dollari in titoli HTM, che in realtà avevano un valore di mercato equo di soli 388,6 miliardi di dollari; quindi, con una perdita non realizzata di 36,7 miliardi di dollari”, riporta Wall Street on Parade in un articolo del 25 settembre intitolato “La tempesta perfetta colpisce le grandi banche”.

Secondo la FDIC, al 30 giugno 2023, “le perdite non realizzate sui titoli ammontavano a 558,4 miliardi di dollari nel secondo trimestre, con un aumento di 42,9 miliardi di dollari (8,3%) rispetto al trimestre precedente. Le perdite non realizzate sui titoli detenuti fino a scadenza sono state pari a 309,6 miliardi di dollari nel secondo trimestre, mentre le perdite non realizzate sui titoli disponibili per la vendita sono state pari a 248,9 miliardi di dollari”.

Inoltre, la situazione precaria delle banche statunitensi è aggravata dalla fuga dei risparmiatori a seguito dei fallimenti bancari d’inizio anno. Dal 13 aprile 2022, le 25 maggiori banche USA hanno perso 920 miliardi di dollari di depositi. I risparmiatori si sono rivolti a banche più piccole, che offrono tassi d’interesse più elevati, o hanno acquistato titoli del Tesoro americano a breve termine che ora rendono oltre il 5%.

Quest’ultima non è una buona notizia. Infatti, i titoli di Stato statunitensi stanno scendendo di prezzo a causa della dinamica descritta all’inizio. I rendimenti dei Treasury decennali di riferimento, ad esempio, si aggirano sui massimi da 16 anni, al 4,57% e, secondo alcuni investitori, potrebbero salire al 5%, un livello che non si vede dal 2007. Questo quadro ha spinto MarketWatch a scrivere il 27 settembre che “Gli assicuratori globali che sovrintendono a 29.000 miliardi di dollari di attività si aspettano altre crepe nelle banche”. Per “crepe” si intende fallimenti bancari.

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