JFK e le presidenziali USA 2024

Mentre cresce ogni giorno il pericolo di uno scontro nucleare tra USA e Russia, lo Schiller Institute ha riproposto la visione di pace di John F. Kennedy (JFK) affinché diventi il punto di riferimento di un movimento che si imponga sulla scena internazionale. Nel sessantesimo anniversario del famoso discorso di Kennedy alla American University di Washington, pronunciato il 10 giugno 1963. lo Schiller Institute ha commemorato l’anniversario con una conferenza (vedi sopra).

JFK capì che il pericolo di un olocausto nucleare, divenuto reale durante la crisi dei missili di Cuba, richiedeva un cambiamento nei rapporti tra le due nazioni più potenti. Capì che Nikita Krusciov subiva le stesse pressioni da parte dei falchi che subiva lui. La mentalità da Guerra Fredda che dominava la maggior parte dei consiglieri militari, diplomatici e di intelligence si era insediata nella mente degli elettori. Avrebbero accettato una svolta rispetto alla linea dura contro il comunismo, o i falchi sarebbero stati in grado di sabotare gli sforzi a favore di una politica di distensione?

Mentre compiva mosse concrete per allentare la tensione con l’URSS, continuando ad usare i canali riservati che avevano permesso di risolvere la crisi di Cuba per raggiungere nuovi accordi (come il trattato per la messa al bando dei test nucleari, firmato due mesi dopo quel discorso), Kennedy esitò a sfidare apertamente coloro che, ignorando la minaccia dell’URSS, lo accusavano di cedimento nei confronti del comunismo. La cosa si acuì in vista delle elezioni del 1964 e del sostegno fornito dagli USA al governo del Vietnam del Sud, sempre più difficile senza un più massiccio dispiegamento militare.

Tuttavia, JFK credeva che gli mentissero sulle reali possibilità di successo in Vietnam e che fosse necessario abbandonare una rigida strategia anticomunista e l’idea di un maggiore coinvolgimento USA in una guerra. Nell’autunno del 1963 egli cominciò a disimpegnarsi dal conflitto. L’11 ottobre emanò il Memorandum di Sicurezza Nazionale n. 263 che ordinò il ritiro di mille soldati per la fine di quell’anno e dei restanti entro la fine del 1965.

Non fu una scelta facile. Secondo quanto riferisce James Douglass in “JFK and the Unspeakable: Why he died and Why It Matters”, Kennedy era lacerato dal dilemma. Disse a Charles Bartlett, giornalista e vecchio amico: “Non abbiamo speranze di successo laggiù… Essi (i vietnamiti) possono cacciarci in qualsiasi momento, ma io non posso regalare un territorio come quello ai comunisti e convincere il popolo americano a rieleggermi”.

A quali conclusioni ci porta la riflessione sulla lotta intrapresa da JFK per cambiare la politica estera americana, che probabilmente gli costò la vita, e la minaccia esistenziale che affrontiamo oggi con le provocazioni NATO contro la Russia in Ucraina, che la maggior parte dei leader del mondo transatlantico sostengono stupidamente?

Discutendo dell’assassinio di Kennedy in una conversazione privata con i suoi collaboratori, nel corso della campagna presidenziale del 2004, Lyndon LaRouche affermò che l’errore di JFK fu quello di comportarsi come in una Kabinettskrieg, nella speranza di poter portare i falchi dalla sua parte o tenerli in scacco fino a dopo le elezioni del 1964, per poi uscirne. Questa era una trappola, disse LaRouche, e rese inevitabile sia la guerra che la fine di Kennedy. Egli avrebbe invece dovuto usare il ruolo del Presidente per convincere l’opinione pubblica ad abbandonare la cieca adesione alla Guerra Fredda e correggere l’errore commesso da Harry Truman quando sciolse l’alleanza di guerra con l’URSS e accettò scioccamente la divisione del mondo in due imperi proposta da Churchill, trasformando gli USA in un “gigante stupido al guinzaglio dei britannici”.

È chiaro che Biden non è JFK e che finora nessuno dei candidati per il 2024 ha mostrato le qualità di statista necessarie ad organizzare i cittadini del mondo occidentale a rompere con gli assiomi mortali dell’“Ordine Unipolare” e unirsi alla nuova “Maggioranza Globale” per costruire una nuova architettura strategica e di sviluppo coerente con la visione di pace presentata da JFK sessant’anni fa. Una ragione in più per raccogliere l’appello dello Schiller Institute e far crescere un movimento di opinione pubblica che si assuma la responsabilità del cambiamento.

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