Dietro il conflitto nel Tigrè etiopico ci sono le pressioni occidentali per le riforme

Dietro il conflitto in corso tra il governo etiope e lo stato regionale del Tigrè ci sono le riforme liberiste e la pressione occidentale affinché l’Etiopia recida i legami con la Cina.

Mentre il primo ministro etiope Abiy Ahmed non ha ceduto a quest’ultima, ha comunque adottato l’agenda di riforme chiesta da Stati Uniti, Regno Unito ed Unione Europea. Queste riforme includono la privatizzazione delle imprese statali e l’apertura delle telecomunicazioni e del settore finanziario agli investimenti stranieri.

La promessa di Abiy di attuare le riforme ha portato nel 2019 alla concessione di prestiti del valore di 9 miliardi di dollari da parte della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni finanziarie occidentali. Come parte del processo di privatizzazione, il governo ha messo in vendita licenze di telefonia mobile che avrebbero messo fine al monopolio del governo. La prima licenza è stata vinta dalla compagnia britannica Vodafone e da due delle sue filiali africane, Safaricom e Vodacom, che hanno battuto l’offerta di un consorzio guidato dalla telecom sudafricana MTN che era sostenuta dal fondo cinese Silk Road. Mentre l’offerta di MTN era di 600 milioni di dollari, Vodafone ha potuto offrire 850 milioni perché ha ricevuto un prestito di 500 milioni dall’International Development Finance Corporation (DFC) del governo statunitense. Tutti i media hanno detto che l’intenzione era di battere i cinesi. Come se non bastasse, il prestito costituisce un quarto del portafoglio prestiti della DFC quest’anno e sta andando ad una società britannica che non ha investimenti negli Stati Uniti. Il denaro molto probabilmente non arriverà in Etiopia perché dovrà essere usato per il servizio del debito. Dato che la compagnia statale di telefonia mobile etiope funziona in modo abbastanza efficiente (con tecnologia cinese), l’acquisizione di Vodafone non è un grande vantaggio per lo sviluppo del Paese, e i 500 milioni di dollari avrebbero potuto invece essere spesi in infrastrutture reali. Tutte queste operazioni private di telefonia mobile equivalgono ad una vacca da mungere. Ci sarà un’altra licenza offerta, che il consorzio sostenuto dai cinesi potrebbe vincere, se sarà ancora interessato.

Il Fronte Popolare di Liberazione del Tigré (TPLF), che era al governo nel 2005, aveva deciso di mettere in secondo piano il processo di democratizzazione e adottare la politica cinese dello “stato di sviluppo”. Per il decennio successivo ha attuato una politica di industrializzazione basata sulle infrastrutture e contenuto il capitalismo finanziario. Questo ha portato alla costruzione della prima autostrada a sei corsie del Paese, di una ferrovia elettrificata a doppio binario da Addis Abeba al porto di Gibuti, alla costruzione di zone industriali in stile cinese e progetti idroelettrici, tutto con l’assistenza finanziaria e tecnica di Pechino. Mentre i media occidentali sostengono che il TPLF si è arricchito in modo corrotto con questa politica, è innegabile che l’Etiopia abbia goduto di una crescita media del PIL del 10,9% tra il 2004 e il 2014. La fazione del TPLF ha ostacolato la politica di riforma di Abiy.

Il 5 agosto, riflettendo il pieno appoggio del governo britannico all’agenda di Abiy, Chatham House ha ospitato un webinar in cui il ministro etiope dello sviluppo e della pianificazione, Fitsum Assefa Adela, e il ministro delle finanze, Eyob Tekalgn Tolina, hanno presentato il programma di riforme del loro Paese all’élite di Londra.

Sfortunatamente l’attuazione del programma di riforme ha provocato l’attuale lotta politica e militare che minaccia l’esistenza stessa dello stato etiope, a meno che non vengano prese decisioni da statisti, non sanzioni ed interventi esterni, per portare la lotta fuori dall’ambito militare e verso il dialogo, per un futuro migliore dell’Etiopia e dell’Africa orientale.

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