Previsione per il nuovo anno: salterà prima il pubblico o il privato?

Nove economisti su dieci interpellati dal Financial Times il 6 gennaio prevedono l’esplosione di una crisi del debito italiano entro l’anno, come conseguenza della stretta creditizia e “quantitativa” della BCE. Questa è la previsione più facile del mondo, dato l’ammontare del debito pubblico (oltre 2,5 mila miliardi, 155% del PIL) e l’impatto dell’aumento dei tassi, ma specialmente della decisione, annunciata dalla BCE il 15 dicembre, di iniziare a ridurre lo stock di titoli acquistati nell’ambito del programma APP, a cominciare da marzo, al ritmo di 15 miliardi al mese.

È un segreto di Pulcinella che negli ultimi anni i titoli pubblici italiani siano stati acquistati quasi interamente dalla BCE, che così ha garantito che lo spread non salisse. Questa condizione favorevole ora scomparirà, proprio nel momento in cui il governo ha bisogno di aumentare la spesa pubblica per sostenere le imprese e le famiglie colpite dall’inflazione.

Non è quindi solo paranoia quando a Roma si crede che Bruxelles e Francoforte, ora che il loro pupillo Draghi non c’è più, toglieranno il paracadute all’Italia. Guido Crosetto è stato incaricato di aprire il fuoco, non in quanto Ministro della Difesa, ma perché nel governo è il membro autorevole più vicino alla Meloni. In un’intervista a La Repubblica, Crosetto ha detto che “non serve un premio Nobel, basta il buonsenso di una massaia per capire che alcune decisioni provocano effetti negativi perché amplificano la crisi. Quando Draghi lanciò il whatever it takes, la situazione economica e sociale era enormemente migliore di quella a cui stiamo andando incontro. A maggior ragione oggi non c’era alcuna ragione per una stretta”.

Il rialzo dei tassi può essere anche una scelta “comprensibile, ma non intervenire più come prima sulle emissioni di debito pubblico è una cosa più difficile da comprendere e giustificare”, ha aggiunto, e ha attaccato l’indipendenza della BCE: “Abbiamo lasciato a organismi indipendenti e che rispondono solo a sé stessi, la possibilità di incidere sulla vita dei cittadini e sull’economia, in modo superiore alla Commissione europea e soprattutto ai governi nazionali. È legittimo chiedersi quanto sia giusto?”

Gli osservatori si sono chiesti quale wunderwaffe abbia il governo Meloni per sfidare apertamente l’istituto di Francoforte senza finire come l’ultimo esecutivo che osò farlo, nel 2011. All’epoca, fu orchestrata una artificiale fuga dai titoli italiani accompagnata da una campagna mediatica su un inesistente pericolo di insolvenza. Il disastro ci fu, ma fu provocato dal governo tecnocratico di Mario Monti che fu insediato per ordine di Bruxelles.

Evitare una ripetizione del 2011 è possibile, ma il governo italiano deve capire che ha il coltello dalla parte del manico. Un piccolo debito ti rende ostaggio della banca, ma un grande debito rende la banca un tuo ostaggio, dice il detto. Il peso economico e finanziario dell’Italia ne fa un pilastro dell’Eurozona e la semplice minaccia di uscire dall’euro indurrebbe Francoforte, Bruxelles, Berlino e Parigi a più miti consigli. Ma, affinché la minaccia sia credibile, occorre essere pronti a metterla in atto all’occorrenza.

D’altro canto, la stretta creditizia attuata dalle banche centrali sta generando crisi pronte a esplodere ovunque. Ne abbiamo visto le avvisaglie nella crisi dei titoli britannici a novembre e nello scoppio della bolla delle criptovalute a dicembre. L’anno nuovo si è aperto con BlackRock che ha bloccato i rimborsi sul suo UK Property Fund, una settimana dopo che Blackstone aveva fatto lo stesso con il suo fondo immobiliare BREIT. Credit Suisse ha dovuto offrire 435 punti base per un’obbligazione triennale di 500 milioni di sterline emessa a Londra. Questa è solo la cima di un iceberg immenso, più grande di quello affiorato nel 2008. Come ha ammonito Helga Zepp-LaRouche in una tavola rotonda tra economisti sul 2023, trasmessa dalla CGTN l’8 gennaio, non è una questione di se, ma quando la crisi esploderà. Forse prima del debito italiano.

A quel punto, partirà il “contrordine compagni” e le banche centrali riapriranno a rotta di collo le paratie della liquidità. L’interrogativo da porsi è: avranno i governi imparato la lezione del 2008 e, invece di devolvere i pieni poteri, attueranno una riorganizzazione fallimentare del sistema come fece Roosevelt nel 1933, con la legge Glass-Steagall?

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