Morire per Kiev o Taiwan?

Nelle scorse settimane la presidente dello Schiller Institute Helga Zepp-LaRouche non ha perso occasione per deprecare il silenzio assordante degli ambienti ufficiali sul pericolo rappresentato dai numerosi punti caldi che potrebbero esplodere in una guerra generale. Il 13 maggio, in un dialogo pubblico, ha definito la situazione “così esplosiva che ritengo, se non si inverte il corso degli eventi”, che potremmo scivolare in una guerra come nel 1914, con la differenza che “stavolta ci sono le armi nucleari e c’è gente spostata, inclusi i membri dei vari pensatoi, che dice ‘dobbiamo prepararci a una possibile guerra nucleare’”. Si riferiva a uno studio della Rand Corporation intitolato “Guerra con la Cina: pensare l’impensabile”.

Un’autorevole voce ha condiviso questi timori, il novantenne Daniel Ellsberg, che ha colto l’occasione del cinquantennale dalla pubblicazione deiPentagon Papers per lanciare l’allarme su quella che ha definito una discussione “asinina” e “criminalmente folle” sulla possibilità dell’uso di armi nucleari da parte degli USA. Ellsberg ha in particolare menzionato le dichiarazioni del capo di StratCom, l’ammiraglio Charles Richard, stigmatizzato anche da Zepp-LaRouche, il quale ha dichiarato di credere che siamo passati dal ritenere una guerra nucleare “non probabile” a ritenerla “probabile”. “Non ho dubbi che questa discussione sia in corso proprio ora al Pentagono”, ha detto Ellsberg.

Una guerra con la Russia o la Cina, ha aggiunto, ci espone “ad un alto rischio di escalation verso un conflitto nucleare. E se si passa allo scontro nucleare… è in ballo la quasi estinzione dell’umanità. No, non dovrebbe esserci la minima opzione, minaccia o qualsivoglia pensiero di conflitto armato con Russia e Cina, né ora, né mai”.

Ellsberg, il più famoso oppositore della Guerra in Vietnam, ha rivelato che nel 1958 gli USA furono a un passo dall’uso di armi nucleari contro la Cina, quando il segretario di Stato John Foster Dulles sollecitò i capi di stato maggiore riuniti a raccomandare al Presidente di impiegarle durante la crisi nello Stretto di Taiwan. La fonte di Ellsberg è costituita da docu menti della Rand Corporation ancora segreti. Consapevole che nel rivelarli andrebbe incontro ad una probabile detenzione, ha rivolto un appello a futuri informatori affinché si facciano avanti, perché una guerra di sterminio è possibile “finché gente al governo non mostra il coraggio morale di Ed Snowden e Chelsea Manning (…) e ci fa conoscere questi piani segreti”. Senza di ciò, “temo che la civiltà non sopravviva all’era delle armi nucleari”.

Quando nel 1971 pubblicò i Pentagon Papers, denunciando l’intreccio di menzogne e inganni intessuto da militari e spioni per giustificare la continuazione della guerra in Vietnam, Ellsberg fu perseguito penalmente e minacciato di una lunga pena carceraria. Fu alla fine prosciolto a causa di scorrettezze dell’accusa, ma il suo gesto coraggioso fu di ispirazione per tutti coloro che successivamente sarebbero diventati informatori. Nel suo appello a farsi avanti, ha dichiarato: “Credo che questo sia il mese in cui dobbiamo decidere se affrontare il tema in pubblico o se dovremo fare la guerra nucleare per Taiwan, l’Ucraina o la Siria”.

Biden dà carta bianca a Netanyahu Il senatore della Virginia Richard Black, ex capo della divisione criminale del Pentagono, ha spesso accusato Joe Biden di non aver mai mancato di compiacersi per una guerra. Da senatore, Biden votò sia per la guerra in Iraq che per gli interventi militari in Siria e Libia. Ora dà pieno sostegno al governo israeliano nel conflitto con i palestinesi, nonostante le sofferenze che ciò causa ad ambo le parti.

Questa recrudescenza del conflitto è cominciata come tante altre nel passato. Prima, un tribunale israeliano ha consentito a un gruppo radicale di coloni israeliani di occupare abitazioni nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est che erano abitate da famiglie arabe da oltre cinquant’anni. Il governo di Netanyahu, attualmente in carica solo per gli affari correnti, ha deciso di non ostacolare la sentenza e di permettere le espropriazioni, proprio in coincidenza con le festività per la fine del Ramadan. Come nel passato, la mossa ha creato tensioni che si sono rapidamente allargate alla moschea di Al-Aqsa, nella città vecchia. La polizia israeliana è intervenuta all’interno della moschea, provocando l’esplosione della violenza. Come se non bastasse, i nazionalisti israeliani hanno marciato a Gerusalemme Est per celebrare la cattura della città nella Guerra dei Sei Giorni. La violenza si è rapidamente diffusa alla Cisgiordania e, prevedibilmente, ha portato alla risposta di Hamas, che dalla striscia di Gaza ha rovesciato una pioggia di missili sui centri abitati israeliani. Le forze armate israeliane hanno quindi ricevuto l’ordine di adottare i piani di contingenza, che comprendono una lista di obiettivi da colpire.

Nel passato, si è riusciti a ottenere un cessate il fuoco solo quando gli Stati Uniti hanno esercitato pressioni su Israele, mentre l’Egitto, altri attori arabi e la Russia lo hanno fatto sui palestinesi. Israele dà ascolto solo agli USA, ma Biden ha deciso di lasciar decidere a Netanyahu quando chiedere il cessate il fuoco. Sia gli USA che la Gran Bretagna hanno bloccato qualsiasi risoluzione ONU che contenesse un semplice accenno alla fine delle violenze. Non solo, ma Biden ha bruciato l’arma più potente che aveva nei confronti di Israele, annunciando l’approvazione di un accordo per 735 milioni di dollari di forniture militari, per la maggior parte sistemi JDAM per teleguidare le bombe, che sostituiranno quelli attualmente impiegati contro i palestinesi.

A differenza dei conflitti precedenti, questo ha due conseguenze gravi per Israele e la regione. Per la prima volta dalla guerra arabo-israeliana del 1948, è scoppiata la violenza anche all’interno del paese tra arabi israeliani e ebrei israeliani, con le rispettive bande che si scontrano nelle strade, specialmente nel nord, dove c’è la più alta concentrazione di cittadini arabo-israeliani.

In secondo luogo, la violenza giova a Netanyahu, per il quale si sono riaperte le prospettive di formare un nuovo governo. Prima del conflitto, si erano tenute le quinte elezioni politiche in due anni. Netanyahu aveva ricevuto il mandato, ma non era riuscito a mettere assieme una maggioranza. La palla è quindi passata a Yair Lapid, leader del partito centrista Yesh Atid, che ha cercato di formare una “coalizione per il cambiamento”. Il tentativo non solo è stato sospeso fino alla fine del conflitto, ma alcuni potenziali partner hanno già annunciato che non riprenderanno i colloqui. Se Lapid fallisce, il Presidente potrebbe ridare il mandato a Natanyahu o mandare di nuovo il paese alle urne.

Biden ha posto le basi per un futuro incerto in una regione già pericolosamente instabile.

“Iperinflazione transitoria” ovvero “la signora è un po’ incinta”. L’attuale dibattito sull’inflazione ricorda il personaggio di Don Ferrante nei Promessi Sposi. Costui era un dotto aristotelico che, nel mezzo della peste che infuriava nella Milano del seicento, concluse che, essendo il morbo né sostanza né accidente, esso non poteva esistere. Naturalmente, racconta il Manzoni, Don Ferrante morì del morbo che secondo lui non esisteva.

Similmente, la Casa Bianca ha commentato il dato dell’indice dei prezzi al consumo, che mostrano un allarmante +4,2% su base annua, il più alto dal 2008, asserendo che esso rientrerebbe in una “normalizzazione” e che comunque si tratterebbe di un fenomeno “transitorio” (https://twitter.com/WhiteHouseCEA/status/1392484737772572674). Già il presidente della Fed, Jerome Powell, aveva usato lo stesso termine, mentre la Bank of America aveva coniato l’ossimoro “iperinflazione transitoria”.

A differenza della Casa Bianca e dei media “embedded”, la banca centrale cinese (PBOC) valuta l’inflazione in arrivo come per niente transitoria e punta il dito contro il colpevole. La PBOC se lo può permettere; non avendo lanciato denaro a pioggia a beneficio degli speculatori, non vive in una casa di vetro.

Nel rapporto trimestrale sulla politica monetaria alla fine di aprile, la PBOC, sulla base di tre indici – il WTI (future petroliferi), il LME (future del rame) e il CRB (prezzo a pronti delle commodities) – ha rilevato l’aumento globale dei prezzi dei relativi gruppi di merci rispettivamente del 187%, 89% e 51% su base annua.

Uno dei fattori scatenanti di questi aumenti, secondo il rapporto, è la politica monetaria “ultra-espansiva”, assieme ai pacchetti di stimolo e al divario offerta-domanda, come effetto dei lockdown. È improbabile che l’effetto di questi fattori sparisca a breve termine e perciò è probabile che l’inflazione dei prezzi sui mercati globali delle merci persista.

L’analisi è corretta. La politica monetaria “ultra-espansiva” ha alimentato enormi flussi di denaro speculativo sulle commodities. È vero che i lockdown hanno determinato un’offerta inferiore alla domanda nel momento in cui riparte l’economia mondiale, ma i prezzi sui mercati dei future sono per la maggior parte determinati da fondi speculativi e altri che scommettono sull’aumento dei prezzi, ma che non acquisteranno mai quelle merci.

L’altra dinamica alimentata dalla liquidità delle banche centrali è l’inflazione dei prezzi finanziari, ovvero la bolla dei mercati azionari. Pam e Russ Martens (Wallstreetonparade) hanno calcolato che la capitalizzazione del mercato azionario USA supera la somma del PIL delle quattro nazioni più industrializzate del mondo: USA, Cina, Giappone e Germania (https://wallstreetonparade.com/2021/05/at-49-1-trillionthe-u-s-stock-market-is-larger-than-the-combined-gdp-ofthe-u-s-china-japan-and-germany/). Essi scrivono:

Quando la cornucopia delle bolle azionarie finalmente scoppierà, rivelando le corrotte fondamenta su cui poggiava, si può star sicuri che ci saranno numerose testimonianze al Congresso che diranno che nessuno lo poteva prevedere.

Come sosteneva Lyndon LaRouche, nell’ambito dell’attuale sistema le banche centrali non hanno altra scelta che pompare sempre più liquidità nel sistema stesso, per evitare che scoppi la bolla. Così, inevitabilmente, prima o poi l’inflazione dei prezzi finanziari esonderà nell’economia reale e sfuggirà al controllo. C’è solo una soluzione: chiudere la bisca finanziaria con una riforma ispirata alla legge Glass-Steagall del 1933 (il modello su cui fu emanata anche la Legge Bancaria italiana del 1936), che separava l’attività di credito e di raccolta del risparmio dal trading e dall’investment banking.

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