Germania: la deindustrializzazione colpirà con forza il mercato del lavoro

La razionalizzazione dei processi produttivi e il ricorso a posti di lavoro part-time rispetto a quelli a tempo pieno sono metodi utilizzati massicciamente nell’industria tedesca negli ultimi anni. Nel settore automobilistico, ad esempio, nel 2023 l’occupazione totale era di 42.000 posti di lavoro in meno rispetto al 2018, quando era di 822.000 unità. Ma si è trattato di spostamenti graduali nell’arco di diversi anni.

Oggi, la deindustrializzazione ha colpito duramente l’economia tedesca, con le grandi aziende che hanno annunciato almeno 55.000 licenziamenti entro la fine del 2024, che saranno accompagnati da un numero 4-5 volte superiore di licenziamenti nell’indotto, costituito principalmente da aziende di medie dimensioni. La scorsa settimana sono balzati agli onori della cronaca i casi di ThyssenKrupp Steel e Volkswagen, che hanno annunciato piani di riduzione drastica dei costi, anche se per importi non ancora specificati. Si tratta di aziende leader nei settori dell’acciaio e dell’automobile.

Saranno colpiti i principali fornitori come Continental, Bosch e Scheffler, oltre a diverse migliaia di fornitori più piccoli (compresa la componentistica italiana, che esporta il 21% in Germania). L’economista capo della ING Bank Carsten Brzeski è stato citato dalla stampa per aver previsto una “morte per mille tagli” per il mercato del lavoro. Un’indagine condotta dalla ditta di consulenza Horvath su 50 fornitori dell’industria ha rilevato che il 60% delle aziende intende ridurre le maestranze nei prossimi cinque anni. Inoltre, le grandi aziende stanno valutando la possibilità di produrre all’estero e di tagliare i posti di lavoro qualificati e ben retribuiti nei loro stabilimenti tedeschi. Questi posti di lavoro spariranno per sempre. La rivista Focus cita Holger Schäfer dell’Istituto economico tedesco (IW) di Colonia: “Se un impianto chimico chiude in Germania, non tornerà più”.

La crisi è dovuta in gran parte agli effetti combinati delle politiche “verdi”: l’aumento dei costi dell’energia come risultato della rinuncia al gas naturale russo per sostituirlo con il GNL dagli Stati Uniti, 3-4 volte più costoso; la politica punitiva della Commissione europea verso i processi di produzione con elevate emissioni di CO2, tra cui l’obbligo per l’industria automobilistica di sostituire i motori a combustione con motori elettrici; l’illusione dell’“acciaio verde” che utilizza l’energia solare ed eolica come fonti energetiche, ecc.

Tra le case automobilistiche, la Volkswagen in particolare ha investito molto nella produzione di e-auto, le cui vendite sono crollate del 69% nei primi sette mesi del 2024, rispetto allo stesso periodo del 2023. Tra i motivi, l’incertezza sulle colonnine di ricarica delle batterie e la fine del premio di acquisto. Complessivamente la Volkswagen ha venduto quest’anno finora 500.000 auto in meno rispetto all’anno precedente.

La crisi del settore siderurgico è dovuta principalmente al crollo dell’edilizia residenziale, alla caduta in picchiata delle vendite di auto elettriche e ad anni di mancati investimenti nelle infrastrutture ferroviarie e autostradali. Ma l’ossessione del governo tedesco per la transizione all’“acciaio verde”, che utilizza il costoso “idrogeno verde” al posto del coke, ha aumentato la pressione su ThyssenKrupp. L’impegno del governo a cofinanziare la transizione con 2 miliardi di euro lascia ancora un vuoto di almeno 8 miliardi da colmare. I drastici tagli alla produzione e agli attuali 27.000 posti di lavoro sembrano essere programmati.