Chi è Elga Bartsch, la “Rasputina” di Habeck the pianificava il fascismo verde già nel 2007

Uno dei “cervelli” dietro la politica di transizione climatica del Ministro dell’economia tedesco Robert Habeck è Elga Bartsch, una banchiera d’affari che ora è a capo del Dipartimento di Politica Economica del Ministero dell’Economia e, come tale, principale consigliere del ministro. Bartsch scrive i rapporti annuali del ministero e li presenta in conferenza stampa con Habeck. Quest’anno, il primo nel nuovo incarico, il rapporto economico include per la prima volta valutazioni di “compatibilità climatica”.

È noto, nonché fonte di controversie (e potrebbe diventare un altro scandalo che indebolirà ulteriormente Habeck) che Bartsch ha lavorato per la finanziaria di Wall Street BlackRock, dalla quale si è dimessa poco prima di essere assunta da Habeck all’inizio di gennaio. Meno noto è che la Bartsch è stata tra i primi banchieri a lanciare la “finanza per il clima” già dal 2007, quando lavorava per la banca d’affari Morgan Stanley.

Un rapporto di Morgan Stanley datato 3 ottobre 2007, intitolato “L’economia del cambiamento climatico” porta la firma della Bartsch. Esso espone con sorprendente chiarezza i principali elementi della politica climatista attualmente portata avanti dall’Unione Europea e da altri governi occidentali. In un capitolo intitolato “Un’altra dose di distruzione creativa”, la Bartsch scrisse:

“Dopo il crollo del comunismo (…) il cambiamento climatico potrebbe essere il prossimo grande shock per l’economia globale. Come il crollo della Cortina di Ferro, il cambiamento climatico potrebbe far diventare obsoleta parte dello stock di capitale esistente, mentre la struttura produttiva affronta improvvisamente una grande variazione dei prezzi relativi (provocata dalle variazioni di prezzo della CO2). In aggiunta, il cambiamento climatico potrebbe innescare grandi cambiamenti nella dinamica globale della forza lavoro.”

Ciò si applica certamente a ciò che sta avvenendo oggi all’industria e ai livelli di vita delle nazioni europee. E quando parla di “cambiamento climatico”, la Bartsch in realtà intende le politiche per “rettificarlo”, come si capisce in seguito. Perciò, tradotto dal banchierese: “Dopo un grande shock all’economia mondiale, le azioni per ‘rettificare’ il cambiamento climatico possono far crollare il prezzo dei titoli legati al fossile, quando il disinvesitmento forzato e il prezzo della CO2 possono far salire i prezzi dell’energia alle stelle. Inoltre, le politiche di rettifica del clima potrebbero provocare disoccupazione di massa nel mondo”.

Più avanti, la Bartsch suggerisce di usare misure autoritarie per applicare le politiche climatiste:

“Fermare il cambiamento climatico probabilmente [si farà con] un cambiamento tecnologico top-down, influenzato pesantemente dalle politiche governative. Il cambiamento climatico non solo è il fattore esterno più grande mai sperimentato globalmente; rettificarlo richiederà anche il più vasto intervento governativo.”

Non bisogna fare l’errore di sentire il parere dell’elettorato: gli elettori non capiranno perché, per salvare il pianeta, dovrebbero mangiare meno e scaldarsi meno:

“Il comportamento razionale degli elettori potrebbe portare a un livello di protezione ambientale troppo basso, perché gli individui mancano degli incentivi a ottenere tutte le informazioni necessarie sul cambiamento climatico e perciò non esprimono in modo proprio le loro preferenze ambientali (…) In questo contesto, l’ascesa di partiti ‘verdi’ in molti paesi è un interessante modo di fare qualcosa in modo diverso”.

Ci si potrebbe chiedere: se fosse vissuta negli anni ’30, la Bartsch avrebbe seguito l’esempio di Keynes e suggerito il regime nazista come quello più adatto a realizzare i propri schemi?

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